sabato 25 agosto 2007

Settimana di prova

Stavo sorseggiando una grappa di moscato quando ti ho visto frettolosamente entrare in gelateria passandomi ad un paio di metri da dove ero seduta io.
Per finire quella delizia ho dovuto fare scambio di posto con Melissa. E tu sei ripetutamente uscito.
Brucia il silenzio che hai innalzato, brucia l'indifferenza che hai verso di me e mi arrabbio con me stessa, per la mia incapacità di reagire.
E al telefono l'ho sentito dire 'grazie' con quella z sonora che è solo sua.
Campo sportivo di Cavareno, quello più in alto. Per non dimenticare tutto quello che per te ho sinceramente provato. Qualcuno glielo ricordi.
Davvero vorrei che qualcuno glielo dicesse.


Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernst Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion. Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto. E il camion fece una lunga strada, fino all’estrema periferia della città, fermandosi sul ciglio di un vallone. Kazirra scese dall’auto e andò a vedere. Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel botro che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali. Si avvicinò all’uomo e gli chiese: - Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco. Cosa c’era dentro? E cosa sono tutte queste casse?
Quello lo guardò e sorrise: - Ne ho ancora sul camion, da buttare. Non sai? Sono i giorni.
- Che giorni?
- I giorni tuoi.
- I miei giorni?
- I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso?
Kazzirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno. C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata, che se ne andava per sempre. E lui neppure la chiamava. Ne aprì un secondo. C’era una camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari. Ne aprì un terzo. Al cancelletto della vecchia misera casa stava Duk, il fedele mastino, che lo attendeva da due anni, ridotto pelle e ossa. E lui non si sognava di tornare. Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco. Lo scaricatore stava dritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere. - Signore! - gridò Kazirra - Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico. Almeno questi tre. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole.
Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungibile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile. Poi svanì nell’aria, e all’istante scomparve anche il gigantesco cumulo delle casse misteriose.
E l’ombra della notte scendeva.
I giorni perduti (da Centottanta racconti, di Dino Buzzati)

And I would run away
I would run away, yeah..., yeah
I would run away
I would run away with you
(Runaway, The Corrs)